Finì in coma dopo un pugno alla testa: Giuseppe Pio D’Astolfo riparte da Termoli

Il giovane, oggi ventenne, da più di un anno ha lasciato Lanciano ed è tornata a Termoli provando a ricominciare da zero. Purtroppo, però, a distanza di due anni per Giuseppe Pio non c’è stata giustizia né un risarcimento
Sono passati due anni da quel terribile 17 ottobre 2020 quando Giuseppe Pio D’Astolfo venne colpito alle spalle da un gruppo di ragazzini di etnia rom a Lanciano. Un pugno alla testa, scagliato da un tredicenne, lo ha mandato in coma per un mese, cambiando per sempre il corso della sua vita. Oggi, a distanza di due anni esatti da quel giorno per Giuseppe Pio e la sua famiglia non c’è stata giustizia né un risarcimento. A raccontare l’accaduto è stato lo stesso Giuseppe Pio al centro.it. Il giovane, oggi ventenne, da più di un anno ha lasciato Lanciano ed è tornata a Termoli, provando a ricominciare da zero.
Dopo aver perso il lavoro in seguito all’aggressione e aver faticato tanto a trovare una nuova occupazione, oggi Giuseppe Pio lavora come barista in una stazione di servizio a Termoli. «Cerco di non pensare a quella sera, a convivere con quello che mi è successo -ha raccontato al collega giornalista- Ma senza giustizia, per me questa storia non sarà mai finita».
«L’unica cosa positiva è questo lavoro», racconta al Centro, «sto a contatto con tanta gente, riesco ad essere me stesso. Anche perché il mio capo mi ha preso a cuore, mi considera come un secondo figlio. Sto continuando a studiare alla scuola serale, indirizzo alberghiero, ma forse cambierò. E mi tengo in allenamento con il basket». Ma non va sempre tutto liscio. «Oggi cammino, parlo, ma quando inizio una cosa, dopo un po’ perdo la concentrazione, mi svoglio subito», spiega Giuseppe Pio, «sto cercando di convivere con questa situazione piuttosto che superarla, perché fino a quando non c’è il processo e non lo vedo condannato, per me non è finita questa storia».
“La Procura per i minorenni dell’Aquila -si legge- ha dichiarato la non imputabilità per i due ragazzi all’epoca tredicenni (tra cui l’autore materiale del pugno), mentre il procedimento resta aperto per quello che all’epoca aveva 14 anni. L’indennità derivante dall’invalidità, inoltre, è stata azzerata dall’Inps perché il piccolo stipendio di Giuseppe «fa reddito». Le lesioni lasciate dal pugno e dal coma, invece, non si sono azzerate. «Mi partono i 5 minuti quando vedo gente che si altera, perché lo ricollego a quel fatto», racconta ancora Giuseppe, «se dovesse ricapitarmi una situazione simile, visto che giustizia non è stata fatta, stavolta non starei con le mani in tasca. Cerco di non pensarci, ma poi quando sono al campetto mi chiedono della cicatrice, al bar si ricordano di avermi visto alla tivù. E mi chiedono: “Come stai? Com’è andata a finire?”. E devo rispondere che dopo due anni non si sa ancora niente. A questo punto era meglio essere colui che ha fatto il danno, piuttosto che chi lo ha ricevuto. Passa un messaggio bruttissimo, che in Italia va avanti chi fa del male».
Oggi per Giuseppe sarà un giorno come tanti: analisi, lavoro e poi a scuola di sera. Il ricordo di due anni fa pronto lì a riaffiorare. «Vorrei capire il motivo per cui mi ha quasi ucciso, sapere se ha capito di aver sbagliato, di aver fatto del male a una famiglia intera», dice Giuseppe Pio del suo aggressore, «non ho avuto neanche una lettera di scuse. È minorenne e quindi non andrà in carcere per la mia vicenda, okay. Tanto lo farà prima o poi, se continua su questa strada. Mi aspetto almeno un risarcimento per quello che ho passato, per i danni permanenti, per i sacrifici della mia famiglia, per tutto quello che ho perso».